THE PLACE, cosa non faresti per essere felice?

IL FILM

The Place è il luogo dove ognuno porta il suo desiderio e il suo bisogno, la sua richiesta alla vita, per salvare qualcuno o per ritrovare una parte di sé; è anche il luogo della disperazione, l’ultima spiaggia dell’esistenza.

Valerio Mastrandrea, bravissimo, è il sacerdote che consulta il libro della vita e che, messaggero di Dio o forse di Satana, offre soluzioni quando sembra che le esistenze siano arrivate ad un punto di non ritorno. Impassibile pone sul piatto dello bilancia una possibilità di scelta e poi, serafico, domanda al suo interlocutore: Come ti sei sentito? Cosa hai provato? Quello che propone è un do ut des in cui non ha un potere personale ma sembra farsi solamente interprete di un mistero più grande di lui, una sorta di novello Faust o Dio stesso in persona.

Il protagonista incontra chi vuole esaudire un desiderio e, dopo avere consultato un misterioso libro, indica l’azione affinchè esso possa essere raggiunto, proponendo atti che spesso esulano dalla morale comune e ponendo le persone in uno stato di conflitto con se stesse. Dalla scelta che faranno si evolverà in qualche modo la situazione.

Il nuovo film di Veronese porta in primo piano il tema universale del libero arbitrio, della possibilità che ognuno di noi ha di scegliere il proprio comportamento per ottenere o meno quello che desidera per sé o per chi si ama.

IL CONFLITTO INSEGNA A CONOSCERSI

Attraverso il conflitto con se stesso l’uomo impara a conoscersi, nei propri aspetti buoni e in quelli cattivi nella scelta libera egli esercita la sua possibilità di cambiare. Tutto il resto appare come una partita a dadi con l’universo in cui le regole rimangono sconosciute.

Nel film si salva chi accetta di eseguire il compito assegnato, che vi riesca o no, questo non sembra determinante, ma la scelta di portarlo o meno a termine attiva un processo di trasformazione della realtà dentro e fuori di sè.

Porre la domanda al libro, interrogarsi ed interrogare la vita è già un primo passo per cambiare la situazione, decidere di sottostare ad una azione imposta da un altro ne è il secondo. Dal conflitto che ne scaturisce si genera una possibilità di comprendersi e di scegliere in base alla propria personale etica.

Ha senso uccidere una bambina per salvare il proprio figlio? Si domanda un padre disperato.

L’Io spesso sembra disarmato di fronte al dolore e per non farvi fronte è disposto anche a prendere posizioni poco etiche. Il dolore stesso sembra però essere il motore di un cambiamento di prospettiva che permette alla vita di fare il suo corso. La voce dell’Io nei momenti molto drammatci dell’esistenza deve lasciare spazio a quella più ampia di una ricerca di senso che va oltre la propria individualità.

IL DOLORE COME MOTORE DEL CAMBIAMENTO

Il dolore è da sempre il motore più potente che l’universo utilizza per far “muovere” l’individuo perché in una situazione di benessere non è quasi mai pensabile interrogarsi e porsi in una situazione di dialogo con se stessi.

Così avviene nel film, si giunge a The place solo in momenti molto drammatici della propria esistenza, così avviene anche in terapia dove si arriva spesso con una domanda di salvezza o di guarigione che però non puo’ essere assunta esclusivamente dal terapeuta ma richiede che il paziente si assuma la piena responsabilità di se stesso e della sua vita.

Chi accetta il dolore e la responsabilità che questo comporta trova una via di salvezza. E’ nell’amore e nel sentire che ognuno di noi trova una risposta al proprio personale dramma. Amore in primis per se stessi, per la possibilità di riconoscere i propri bisogni ed i propri dolori e di scegliere rimanendo in linea con i propri valori.

The Place, è un film che tocca con sapienza il tema della moralità, del labile confine del bene e del male, il mistero delle coincidenze, che altrove Jung chiamerebbe della sincronicità, laddove tutti gli essere umani sembrano correlati e il destino dell’uno si intreccia con quello degli altri.

The Place lascia aperte più domande di quante ne risolva.

LA TERAPIA COME LUOGO DELLE DOMANDE

Il bar, dove, instancabili, ogni giorno le persone vanno a portare i propri desideri non puo’ che ricordare per analogia  il luogo della terapia.

I pazienti portano nella stanza d’analisi il proprio dolore, i propri problemi e spesso una domanda precisa: che il terapeuta indichi loro come risolverli.  La realtà è che il processo analitico attiva delle domande più che dare delle risposte, ma è proprio attraverso queste domande che si attivano le risorse dei pazienti per affrontare le situazioni che li fanno soffrire.

Il finale, a sorpresa, rivela che  anche chi ha il ruolo di ascoltare i dolori degli altri sembra, come tutti, avere la propria fatica ed i propri dolori, e come tutti, affronta il mistero della vita e della sofferenza.

Come per tutti, prendere atto della propria difficoltà, ascoltarsi e darsi spazio e forma a delle domande può dare inizio ad un cambiamento. Solo chi decide di interrogarsi su propri bisogni ed i propri desideri può cambiare la situazione. Solo allora la vita offre un’opportunità di cambiamento che prima non si poteva neanche immaginare.