C’E’ ANCORA UN DOMANI

Erica Odasso Psicologa Psicoterapeuta Torino

C’è ancora un domani di Paola Cortellesi è un film di un’attualità spaventosa che ci illustra il grave problema sulla violenza sulle donne.

Il film è ambientato in una Roma post bellica, presidiata dagli americani e alle prese con i problemi della ripresa economica, alla vigilia del Referendum del 1947 che sancirà il diritto di voto per le donne.

Tutto il film si gioca intorno alla vita famigliare di Delia ed al suo rapporto con il marito violento che programmaticamente la picchia ed umilia. Una violenza conosciuta e tollerata da tutti, che come sempre accade, rimane un fatto privato circoscritto alle mura domestiche. L’intera comunità conosce il problema ma nessuno interviene.

Il film racconta una storia semplice di ordinaria violenza domestica con una scelta stilistica che si ispira al Neorealismo ma che sa mantenere una capacità narrativa di estrema leggerezza.

I personaggi, Delia, interpretata magistralmente dalla stessa Cortellesi e Ivano,  interpretato dal Valerio Mastrandrea, ed infine la figlia Marcella ed il nonno sono descritti con grande abilità e aprono ad una riflessione sul tema della violenza sulla donna.

CARATTERISTICHE PSICOLOGICHE DELLA VITTIMA

Delia è l’archetipo della donna maltrattata, vediamone le caratteristiche psicologiche.

E’ una donna molto in gamba capace di giostrarsi fra mille lavoretti per supportare la famiglia ma tutto questo non viene riconosciuto dal marito. Come dice lo suocero, uomo a sua volta violento, Delia è una brava moglie ma “ha il difetto che risponde”; una donna dunque intelligente e capace di leggere le situazioni in modo autonomo ma che non ha il coraggio e la possibilità di lasciare una situazione di svalutazione e violenza.

Il film racconta i 2 aspetti della violenza, quella fisica agita con le mani, e quella psicologica fatta di continue svalutazioni della donna.

LA SVALUTAZIONE DURANTE L’INFANZIA

Le donne che subiscono violenza, spesso, nella loro infanzia, hanno fatto esperienza di svalutazione e/o abusi da parte dei famigliari. Si può trattare di una svalutazione aperta o più nascosta ma, sempre, queste persone si sono travate in contesto in cui non erano viste né valorizzate.

Queste donne sono vissute da bambine in famiglie con padri violenti che maltrattavano le loro madri e, talvolta, anche loro stesse. In generale se la violenza non era fisica, poteva essere anche una svalutazione rispetto alle loro caratteristiche e capacità.

Non è certo possibile semplificare un tema così complesso ed articolato perché ogni vittima ha una storia e caratteristiche proprie ma ci sono alcuni tratti tipici delle donne maltrattate, così come in generale delle persone abusate, siano esse donne o uomini. La carenza di autostima è sicuramente un o di questi.

LA MANCANZA DI AUTOSTIMA

La percezione di sé come una persona manchevole e incapace sembra essere alla base della psicologia delle donne vittime di violenza.

Nella Roma della seconda metà degli anni 40 il personaggio di Delia rappresenta bene la situazione socioeconomica di dipendenza che le donne vivevano. Per una donna di quell’epoca abbandonare un marito, sebbene questo fosse sadico e violento, era praticamente impossibile perché effettivamente esse non avevano quasi mai un’indipendenza economica. C’era poi un tema di riprovazione sociale ed omertà che acuiva l’impossibilità di uscire dalla violenza.

Fuori da quel contesto storico però, dopo più di 70 anni di emancipazione, capita ancora che le donne restino in una situazione di abuso nonostante abbiano invece l’autonomia economica o gli aiuti per potersi allontanare da un contesto violento. Cosa le trattiene? Sicuramente il tema della svalutazione di sé è alla base di questa impossibilità ad andarsene. ” Ma dove vado?” si ripete drammaticamente la protagonista del film.

LA DIPENDENZA

Altro tema che caratterizza le vittime di abuso è quello della dipendenza affettiva. Si crea infatti con il partner violento e/o abusante una sorta di simbiosi e di interdipendenza. I 2 ruoli, quello della vittima e quello del carnefice, sono complementari. Una vittima chiede sempre un carnefice e dipende da lui. La dinamica è reciproca, perché il ruolo assunto ha come contro altare la presenza dell’altro. Questa dinamica relazionale è ben descritta dalla regista come una danza macabra in cui entrambi i ballerini fanno passi stabiliti, in una danza, che culmina sempre, irrimediabilmente, nella violenza.

IDENTIFICARSI CON IL RUOLO DI VITTIMA

Il ruolo di vittima spesso diviene parte della propria personalità, se le violenza subite sono avvenute in età precoce. La personalità si costruisce quindi intorno a questi nuclei traumatici e alle difese psicologiche che si erigono per farvi fronte. Un bambino dipende completamente dagli adulti e ed è estremamente complicato per lui poter ammettere che chi dovrebbe volergli bene usa violenza contro di lui.

Inoltre la figlia di una donna maltrattata crescerà identificandosi con la madre ed assumendo su di sé a livello inconscio il ruolo di vittima; così accade a Marcella nel film.

LA RIMOZIONE DELL’AGGRESSIVITA’

Spesso in queste situazioni di violenza famigliare le donne rimuovono la propria aggressività, che tacitata sin dall’infanzia. In queste vittime, uomini o donne che siano, l’aggressività non può essere consapevole e si esprime in forma di autosvalutazione e dipendenza. E’ un’aggressività passiva che può essere anche somatizzata ma che non si può mai esprimere direttamente.

Questo tema è specifico del genere femminile che per millenni non ha potuto esprimere apertamente la propria aggressività.

IL SENSO DI IMPOTENZA APPRESA

La vittima, inoltre, se è in contatto con la propria aggressività e cerca di reagire, ha tristemente imparato per esperienze pregresse o perché lo ha visto accadere nell’infanzia, che ogni sua possibile reazione è pericolosa perché può scatenare l’aggressività del partner. Nel corso dell’infanzia ha appreso che nessuna possibile reazione la può sottrarre alla violenza.

CARATTERISTICHE PSICOLOGICHE DELL’AGGRESSORE

Ivano, il marito di Delia, interpretato dal bravo Valerio Mastrandrea, ci illustra le caratteristiche dell’uomo violento. Il suo personaggio è tratteggiato con meno sfumature della protagonista, proprio per questo ben rappresenta uno stereotipo maschile di uomo aggressivo ed in capace di far fronte alla propria fragilità. Nel film l’unico dato biografico che emerge e che l’uomo ha fatto 2 guerre, è stato quindi anch’egli spettatore e vittima di un’enorme violenza. Nella trama del film il padre di Ivano è anch’esso un uomo violento che ha portato la moglie ad uccidersi; egli viene accudito da Dalia, così come tradizionalmente avveniva nelle famiglie in cui le donne si facevano carico degli anziani.

La sua figura grottesca di vecchio richiedente e svalutante sembra rappresentare l’origine della violenza che alberga anche nel figlio.

MANCANZA DI AUTOSTIMA

L’abusante è anch’esso stato vittima, spesso, di maltrattamenti ed abusi ed ha una scarsa stima di sé; proprio per questo infierisce sulla compagna per negarsi la consapevolezza del sentimento di valere poco.

Nel film il personaggio viene giustificato “perché ha fatto 2 guerre” dato biografico che senz’altro ha un peso fondamentale nella sua deriva comportamentale ma ancora di più è significativa la figura di suo padre, a sua volta maltrattante nei confronti della madre e della nuora.

LA VIOLENZA APPRESA

Sia per la vittima che per l’abusante la violenza si è appresa nell’infanzia; una violenza subita e che si trasforma poi in una modalità di azione/reazione alle frustrazioni, una volta diventati adulti. Gli uomini violenti hanno padri violenti che picchiano le moglie e spesso i figli stessi.

Attraverso il meccanismo dell’identificazione con l’aggressore, a loro volta questi bambini, una volta divenuti adulti, diventano maneschi e maltrattanti, tramandando il tema della violenza da una generazione all’altra.

DISREGOLAZIONE DELL’AGGRESSIVITA’

Queste uomini hanno una scarsa capacità di gestire l’aggressività, non sono quindi in grado di “mantenere il controllo” in situazioni di frustrazione. Il loro rapporto con l’emozione della rabbia non è mediato da una possibilità di pensiero. Questa incapacità può avere molte cause ma generalmente dipende da esperienze infantili in cui si è subita la rabbia degli adulti senza potervi fare fronte.

IL CICLO DELLA VIOLENZA DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE

Marcella è la figlia maggiore di Delia e come tutti le persone cresciute in un sistema famigliare di violenza è una possibile futura vittima. Da una parte, a livello cosciente la ragazza, appare molto arrabbiata con la madre perché non la vede capace di reagire alla violenza del padre, dall’altra, a livello inconscio è già identificata con la vittima e corre il rischio di scegliere, a sua volta,  un partner violento.

La figura di Marcella è fondamentale nella trama psicologica del film, è lei che comunica alla madre con forza e disperazione, che un futuro diverso può essere ancora possibile per entrambe, ed è per garantire un futuro migliore alla figlia che Delia reagirà e cercherà di prendere in mano la sua vita.

COSA PUO’SPEZZARE IL CICLO DELLA VIOLENZA?

Nel film Delia cerca di scappare dalla situazione di vittima anche se gli eventi la ricacciano indietro, così come accade sempre, in situazioni complesse e molto sclerotizzate.

La donna troverà comunque il modo di reagire alla violenza per tutelare sua figlia da un possibile matrimonio con un uomo apparentemente migliore di suo marito ma che, in realtà, ricalca i medesimi tratti psicologici.

Sullo sfondo di questa vicenda, simile, purtroppo a mille altre, c’è un paese post fascista e maschilista che si affaccia per la prima volta all’ipotesi di “concedere” il voto alle donne. Voto che le donne otterranno, come sappiamo, ma che ancora oggi, dopo più di 70 anni, ci vede vittime e talvolta ancora incapaci di reagire e/o sopravvivere alla violenza maschile.

La cultura patriarcale e machista di quell’epoca è parte dell’ideologia fascista ma non solo. Il patriarcato esiste da millenni e fonda la nostra cultura e la nostra economia.

Tutte le donne del film, anche coloro che hanno più strumenti sia economici che personali, si trovano ad affrontare la violenza esplicita ed implicita degli uomini avvallata dalla cultura dominante dell’epoca e da millenni di patriarcato.

LA STORIA DELL’EVOLUZIONE DEL FEMMINILE E DELLE DONNE

Il film descrive oltre alla storia di Delia e della sua famiglia, un cambiamento sociologico e psicologico fondamentale nella storia dei diritti alle donne che le vede nel 1947 per la prima volta, accedere alla possibilità di voto.

E’ solo l’inizio di un percorso di emancipazione per le donne che ha aperto per loro la possibilità di esprimersi a livello politico e di pensiero e di emanciparsi da un ruolo sociale completamente relegato alla cura dei figli e della casa.

Si sono poi succeduti i movimenti femministi, che tanto hanno ottenuto a livello di diritti e di possibile emancipazione per le donne, ma la strada da percorrere sembra davvero ancora in salita.

IL PRESENTE E LA VIOLENZA SULLE DONNE

Il tema raccontato dal film è purtroppo più attuale che mai come ci dimostrano i terribili fatti di cronaca che  giorno vedono come vittime le donne del mondo occidentale.

Se molti diritti sono stati ormai consolidati, e tanta strada è stata fatta, permane nella nostra cultura una forte tema di violenza sul femminile. Ancora oggi le donne di questa parte di mondo, che dovrebbe garantire loro pari diritti e dignità, muoiono per mano dei loro mariti e compagni, incapaci di accettare un rifiuto e/o un abbandono.

Dal punto di vista psicologico questi uomini hanno le stesse caratteristiche dei loro progenitori sono cioè fragili e non educati realmente al rispetto per le donne. Ma mentre i loro padri vivevano in un sistema culturale che avvallava la violenza sulle donne oggi la coscienza collettiva è estremamente mutata.

Come mai nella nostra società è ancora tanto intrisa di violenza di genere?

Si aprono qui molti temi ed interrogativi di carattere educativo e sociologico su come la nostra società affronta il suo rapporto con la fragilità ed il femminile. Un femminile che appare ancora rimosso e svalutato.

Nella nostra società infatti ancora gli uomini vengono definiti come razionali mentre le donne sarebbero, secondo lo stereotipo, sentimentali e prive di razionalità. Non sembra ancora presente un’idea di differenza di genere e di reciproco interscambio di competenze psicologiche.

IL TABU’ DELLA FRAGILITA’

Esiste ancora per gli uomini il luogo comune che essi non possano piangere e mostrare fragilità.

La negazione del femminile che per uno stereotipo appunto, viene identificato con il tema del sentimentalismo e della fragilità, porta l’uomo ad essere un individuo monco di una parte di sé.

Chi è incapace di dare voce al proprio mondo emotivo spesso diventa violento perché incapace di accettare ed esprimere sentimenti di tristezza, svalutazione di sé, che sono normali in ogni sesso, e parte della vita di tutti, in alcuni precisi momenti.

Il comportamento aggressivo sia esso, comportamentale o psicologico, diviene quindi un modo per sviarsi da tale consapevolezza. La consapevolezza della propria fragilità.

Il femminile presente sia negli uomini che nelle donne viene negato e ancora una volta svalutato.

LA BISESSUALITA’ PSICOLOGICA

Da anni si è definito che in entrambi i sessi c’è una componente maschile ed una femminile della psiche e che ognuno per evolvere nel suo cammino di individuazione deve fare i conti con la sua controparte inconscia. Nei sogni delle donne faranno quindi capolino figure di Animus e in quello degli uomini figure di Anima.

Questi 2 archetipi permettono quindi di scoprire parti di sé generalmente proiettati sui partner e quindi non consapevoli.

Per far fronte a tale necessità di crescita interiore e consapevolezza degli individui tutti, uomini o donne, sarebbe necessaria una cultura attenta ad un’educazione sentimentale che la nostra società votata al tema della performance e dell’immagine, non è ancora in grado di riconoscere come un bisogno.

A tutto questo fa da sfondo, purtroppo una cultura che è ancora profondamente sessista e patriarcale che danneggia sia gli uomini che le donne.

CHIDERE AIUTO E’ IL PRIMO PASSO

Al momento la coscienza collettiva sembra pronta ad accogliere nuovi spunti e riflessioni sul tema della violenza di genere che tutti ci attraversa; nonostante questo l’emancipazione per una vittima di violenza è un percorso lungo e complicato che richiede di riconoscere in prima istanza che si ha bisogno di aiuto.

Chi subisce abusi fisici e psicologici ha più strumenti oggi per poter uscire dai contesti di violenza siano essi all’interno della famiglia che altrove.  In situazione di particolare sofferenza o pericolo è fondamentale rivolgersi a degli specialisti e farsi aiutare per trovare la forza di reagire.

Molti oggi sono e i possibili supporti esterni che accompagnano la vittima a poter abbandonare tale ruolo. Sempre e per tutti C’è ancora un domani.