E alla fine siamo tutte un po’ Barbie…

LA TRAMA

In un mondo distopico e rosato una comunità di donne, le “Barbie” vive l’incanto di una vita perfetta e senza problemi, fatta di giornate tutte uguali e prive di pensieri.

Gli uomini i “Ken” sono tutti uguali, inutilmente muscolosi ed abbronzati, privi di sostanza e personalità, in un mondo, il “mondo di Barbie”, che è  popolato di donne impeccabili e splendidamente appropriate ai loro ruoli di donne manager, donne dottori, presidenti e tutto quando la società possa prevedere nell’ideale dell’emancipazione femminile.

Questo il prologo che la regista, Greta Gerwig,  propone per raccontarci un’avventura tutta al femminile, che ci offre lo spunto per parlare  di alcune tematiche psicologiche che caratterizzano le donne e il femminile in questa epoca. In questo articolo propongo una lettura junghiana dell’opera, una riflessione sul tema del femminile che riguarda la coscienza collettiva e con essa anche l’Inconscio collettivo.

Il film,  come ogni messaggio artistico che arriva al grande pubblico, ci mostra una rappresentazione della realtà psicologica di un personaggio e/o di una cultura. L’icona Barbie, rappresentata nel film, ci mostra una visione della donna nella nostra epoca sia nella riflessione ironica della regista ma anche in quella del vasto pubblico che ha applaudito il film.

Nel corso del film si apre per il personaggio di Barbie un percorso di individuazione psicologica che la porterà dall’indistinzione del gruppo di donne alla ricerca della propria individualità. Dal punto di vista psicologico il tema è quello di conoscere se stessi in relazione all’altro al di là del proprio ruolo sociale e degli stereotipi di genere.

In una lettura simbolica il matriarcato descritto nel film è un riferimento ad un certo atteggiamento diffuso delle donne di pensarsi capaci di essere indipendenti e strenuamente autonome, senza la necessità di un compagno o di creare una famiglia. Al tema dell’ideale di sé si accompagna anche quello della svalutazione di alcuni temi che tradizionalmente prima connotavano la donna nelle sue dimensioni di vita: il rapporto con l’uomo e la maternità.

IL SINTOMO COME BRECCIA NEI MECCANISMI DI DIFESA

Nel mondo perfetto vissuto da Barbie ad un certo punto compare una frattura. Un giorno Barbie classica, la più iconica fra le Barbie, interpretata da una splendente Margot Robbins inizia misteriosamente ad  avere pensieri di morte e problemi cellulite.

Questo abbinamento, esilarante, parla del reale e di tutte le sue sfaccettature. Barbie viene chiamata a vivere la “vita vera” e sarà Barbie “strana”, anch’essa iconica di una certo femminile di maniera, a svelarle la necessità di raggiungere il mondo reale per rimettere ordine e pace nella sua vita. Per qualche misterioso evento, i 2 mondi, quello reale e quello ideale, si stanno mischiando.

Il sintomo, come sempre avviene nella realtà psichica e nei problemi psicologici, è la spinta per iniziare un percorso di individuazione e conoscenza di sé; il sintomo chiede di essere ascoltato e dà avvio ad un percorso di cambiamento.

Il mondo reale in cui Barbie è chiamata a fare il suo percorso è un mondo fatto di maschilismo, sessismo  e tante contraddizioni, ma anche un mondo dove potrà trovare una Bellezza emozionale che la sua vita perfetta e priva di pensieri non poteva avere.

Gli uomini del film, anche nel mondo reale distante da Barbieland, appaiono fortemente stereotipati e ridicolizzano i clichè del mondo maschile. La parabola del film è però tutta al femminile.

METTERE I PIEDI PER TERRA: IDEALIZZAZIONE E REALTA’

Dopo una prima incursione nel mondo del reale  Barbie Classica non sarà più la stessa: è nato in lei il desiderio di un’esistenza più completa e la consapevolezza che una lettura stereotipata di sé non è più appagante. Nel film, simbolicamente, Barbie smette di indossare i tacchi che pongono il piede in una posizione innaturale. “Avere i piedi per terra” significa essere in contatto con il reale  e uscire da un mondo di fantasia. Questo passaggio è indispensabile per diventare consapevoli della realtà con i suoi limiti e con le sue possibilità.

GLI IDEALI IRRAGGIUNGIBILI

La Barbie è uno degli stereotipi femminili, che tutte le donne, nessuna esclusa, dagli anni ’60 in poi, hanno incontrato nel loro percorso di crescita. Tutte hanno giocato con Barbie e si sono, chi più, chi meno, confrontate con la sua immagine di bionda perfetta.

Il mondo di Barbie è un mondo di fantasia, come ripetono le Barbie stesse, che ci racconta un ideale estetico ma anche un ideale di realizzazione sociale in cui la donna è identificata con il suo ruolo sociale e lavorativo. Una deriva che ha caratterizzato alcuni momenti della nostra storia, un femminismo distorto, nato come reazione ad una cultura patriarcale e misogina in cui la donna è stata concepita, per molto tempo, solo come sposa e madre.

Il tema della svalutazione della maternità viene ironicamente raccontato nel film: “Barbie in cinta” è  uscita “fuori di produzione” subito dopo essere stata creata  e vive ai margini di una società di donne completamente dedite all’ideale dell’autonomia e identificate con il  loro ruolo professionale.

Un certo stereotipo chiede alla donne di essere capaci di fare tutto, così come il sottotitolo del film esplicita (Lei può essere tutto cio’ che vuole. Lui è solo Ken). Le donne negli ultimi 30 anni sono passate dall’essere relegate in casa alla possibilità di agire nel mondo seguendo i propri interessi e le proprie capacità; questa enorme conquista ha però spesso coinciso con la fantasia di uno standard altissim0, di una possibilità infinita, di realizzazione per le donne che devono eccellere sul lavoro, nelle vita personale ed inseguire modelli estetici spesso irraggiungibili.

IDEALE DELL’IO E PATOLOGIA

Dal punto di vista della psicologia personale, come ci insegna la psicoanalisi, confrontarsi con un Ideale dell’Io troppo distante dalla realtà diviene fonte di ansia e di poca capacità adattativa. Il confronto con un ideale spesso è schiacciante e rende talvolta difficile interagire con gli altri  nella realtà o costruire percorsi di vita realizzabili.

L’IDEALE ESTETICO 

Spesso le donne si confrontano con ideali estetici che provocano vere e proprie patologie, a partire dai disturbi alimentari fino ai disturbi ansiosi di varia natura e gravità.

I media ed i social propongono modelli di perfezione estetica irraggiungibili, creando ideali di bellezza  irrealistici.  Divenire consapevoli di questo e prendere le distanze da tali immagini idealizzate è fondamentale per poter vivere una vita sana e reale.

Accettare se stessi con i propri limiti e le proprie imperfezioni è banale ma è alla base della propria salute psicologica e non è sempre facile da realizzare soprattutto per le/gli adolescenti.

Barbie in questo caso è quel modello irrealizzabile che bisogna abbandonare per dare valore a quello che si è a prescindere dall’apparenza.

IL MITO DELL’ AUTONOMIA

Un altro ideale che viene raccontato è quello dell’autonomia. I giorni e le notti si susseguono tutti uguali con feste e coreografie di sole donne che ballano gioiosamente perennemente uguali a se stesse.

In questo mondo ideale tutto al  femminile la donna, con il suo gruppo di riferimento di altre donne, basta a se stessa e Ken non è che una comparsa dai tratti stereotipati e priva di reali attrattive. I ken vivono nella speranza vana di attirare l’attenzione delle  Barbie senza sapere poi cosa realmente poter concludere con loro.

La regista propone un completo ribaltamento di ruoli in cui la Barbie è il personaggio vincente mentre il Ken non è che una comparsa nella sua vita. Siano di fronte quindi ad un maschile infantilizzato e privato anche della banale potenza fisica, che da sempre contraddistingue l’uomo. Nel mondo di Barbie Ken non è nessuno e non ha un posto tutto suo.

Barbie diviene quindi lo stereotipo di un certo femminile, votato alla carriera, che si dichiara autonomo e vive nell’illusione di bastare a se stesso. Come afferma sconsolato, Ken, interpretato con grande ironia e bravura da Ryan Gosling: “tutte le sere sono solo feste per donne”.

La parodia arriva all’estremo ed  anche nell’ipotesi che Barbie accettasse di trascorrere una serata con lui, non potrebbe accadere niente perché entrambi sono asessuati. Non ci può quindi essere Eros in questo mondo e nessuna generatività.

Ken, nel film rappresenta l’ uomo, ma anche, se vogliamo,  l’altro/Animus dentro di Barbie, il maschile come possibilità di agire nel mondo in  sintonia con se stessa, al di là delle proprie fantasie e di un ideale del sé troppo rigido ed irrealistico.

L’INCAPACITA’ DI ENTRARE IN CONTATTO CON L’ALTRO

In una lettura junghiana Ken rappresenta un Animus fantoccio che non permette alla donna di entrare in relazione con se stessa e con il mondo reale né, tantomeno, con un uomo reale.

Barbie dal canto suo è appiattita sul proprio ruolo sociale; identificata, si direbbe in termini junghiani, con la propria Persona.

Jung definisce con il termine Persona, proprio quell’interfaccia sociale con cui ci relazioniamo agli altri; al di là di questa, nel proprio intimo ognuno di noi ha un mondo più profondo che va esplorato e conosciuto per acquistare spessore in quanto individui.

Dal punto di vista psicologico per poter incontrare e conoscere un’altra persona bisogna prima conoscere se stessi ed andare oltre la propria Maschera sociale.

La donna rappresentata da Barbie non ha la possibilità di incontrare veramente se stessa, né, tantomeno un uomo, poiché è anch’essa uno stereotipo, non ha un identità profonda. Il suo viaggio nel mondo reale è quindi iniziatico e la porterà ad indagare la sua Ombra, intesa come quella parte di noi, pregi e difetti, di cui non siamo consapevoli.

L’ALTRO COME POSSIBILITA’

Il processo di conoscenza di sé non può avvenire in modo autonomo ma richiede sempre il rapporto con l’Altro che ci offre la possibilità di rispecchiarci e di confrontarci.

Nei primi mesi di vita questo rispecchiamento ci è dato dalla madre;  successivamente, per tutta la vita, abbiamo bisogno di relazionarci con gli altri per crescere e capire chi siamo. Nel percorso di individuazione della Donna l’Altro è un Uomo, reale o interiore (Animus) sul quale essa  proietta le proprie caratteristiche. Conoscerlo ed incontrarlo significa, in  primis, imparare a conoscere se stessa.

Barbie e Ken per conoscersi reciprocamente avrebbero bisogno di uscire dagli stereotipi e dalle reciproche idealizzazioni. Non a caso, i 2 mondi, quello delle Barbie e quello dei Ken scorrono paralleli, ognuno chiuso in un gruppo di riferimento del proprio sesso, così come avvieni nei gruppi di adolescenti in cui “maschi” e “femmine” sono 2 opposti schieramenti.

Maternita’ e realizzazione sociale

Il film è molto ben costruito e ben interpretato, abbina una giusta dose di ironia ad un messaggio e una riflessione sul femminile e sul femminismo così come si è evoluto nell’ultimo cinquantennio.

Per lungo tempo, sicuramente per reazione, i cambiamenti avvenuti a livello sociale e sociologico nella vita delle donne hanno portato ad un ridimensionamento del tema della maternità all’interno dell’ideale della loro realizzazione. Nella nostra società la maternità è stata spesso posticipata nell’idea che prima fosse necessario per la donna raggiungere una gratificazione professionale.  La donna non è più stata completamente identificata nel ruolo di madre.

Il tema del diventare madre scorre lungo tutta la trama del film e viene  richiamato nel finale. Le vicende di una mamma e di sua figlia saranno lo stimolo che darà inizio per Barbie ad una ricerca di sé nel mondo, ed ancora saranno loro, mamma e figlia, a riaccompagnare Barbie a Barbieland nella seconda parte della storia.

…AVERE UNA VAGINA

Nel finale Barbie sceglierà di diventare una donna reale, con una vagina, dopo avere incontrato la donna (e non l’uomo!) che ha creato la Mattel,  sua ideatrice e madre simbolica. Una donna tutt’altro che perfetta, come lei stessa afferma nel film, con 2 mastectomie  e alcuni problemi di frodi fiscali.

La protagonista del film esce quindi da un mondo fatto di ideali irraggiungibili per confrontarsi con la vita vera, dove le emozioni e le esperienze, negative e positive, danno spessore alla vita.

Certe donne chiuse nelle loro fantasie irrealizzabili non arrivano mai a questo punto e rimangono vittime di Animus iperidealizzati e idealizzanti che impediscono loro di vivere delle relazioni e di operare nel mondo.

“Avere una vagina” significa dunque poter accogliere l’Altro, sia un partner che un figlio. La vagina è l’organo che rappresenta la possibilità di un contatto e di una generazione.

Il film della Gerwig sembra dare una lettura femminista delle donne ma anche ironizzare su certi stereotipi evidenziando le contraddizioni del mondo femminile e di quello maschile.

La storia di Barbie si chiude con una valorizzazione del tema della maternità, come esperienza significativa e pregna di senso. Questa sembra essere in sintesi la morale finale del film.

MATERNITA’ ED EROS

Il film, di fatto, si conclude con una protagonista che va nel mondo, finalmente, munita della sua vagina, capace quindi di generare ma anche di incontrare per la prima volta un uomo  nell’intimità.

Barbie diventa donna non solo nella sua possibilità generativa ma anche nella possibilità dell’Eros, inteso non solo come piacere sessuale ma anche come possibilità di un incontro reale con un uomo al di fuori dei clichè.

..questo sembra essere il compito, arduo, che le nuove generazioni già si trovano pienamente ad affrontare:  uscire dagli stereotipi reciproci dei generi e incontrare l’altro per quello che è…ma questo sarà un altro film.