POVERE CREATURE…una lettura simbolica sul femminile

Poor things, uscito in Italia con il titolo di Povere Creature è un film di Yorgos Lanthimos estremamente interessante  che arriva nelle sale dopo il grande successo di Barbie a suggellare un anno cinematografico in cui il tema del femminile e delle donne sembra essere centrale nella coscienza collettiva.

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E alla fine siamo tutte un po’ Barbie…

LA TRAMA

In un mondo distopico e rosato una comunità di donne, le “Barbie” vive l’incanto di una vita perfetta e senza problemi, fatta di giornate tutte uguali e prive di pensieri.

Gli uomini i “Ken” sono tutti uguali, inutilmente muscolosi ed abbronzati, privi di sostanza e personalità, in un mondo, il “mondo di Barbie”, che è  popolato di donne impeccabili e splendidamente appropriate ai loro ruoli di donne manager, donne dottori, presidenti e tutto quando la società possa prevedere nell’ideale dell’emancipazione femminile.

Questo il prologo che la regista, Greta Gerwig,  propone per raccontarci un’avventura tutta al femminile, che ci offre lo spunto per parlare  di alcune tematiche psicologiche che caratterizzano le donne e il femminile in questa epoca. In questo articolo propongo una lettura junghiana dell’opera, una riflessione sul tema del femminile che riguarda la coscienza collettiva e con essa anche l’Inconscio collettivo.

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C’E’ ANCORA UN DOMANI

C’è ancora un domani di Paola Cortellesi è un film di un’attualità spaventosa che ci illustra il grave problema sulla violenza sulle donne.

Il film è ambientato in una Roma post bellica, presidiata dagli americani e alle prese con i problemi della ripresa economica, alla vigilia del Referendum del 1947 che sancirà il diritto di voto per le donne.

Tutto il film si gioca intorno alla vita famigliare di Delia ed al suo rapporto con il marito violento che programmaticamente la picchia ed umilia. Una violenza conosciuta e tollerata da tutti, che come sempre accade, rimane un fatto privato circoscritto alle mura domestiche. L’intera comunità conosce il problema ma nessuno interviene.

Il film racconta una storia semplice di ordinaria violenza domestica con una scelta stilistica che si ispira al Neorealismo ma che sa mantenere una capacità narrativa di estrema leggerezza.

I personaggi, Delia, interpretata magistralmente dalla stessa Cortellesi e Ivano,  interpretato dal Valerio Mastrandrea, ed infine la figlia Marcella ed il nonno sono descritti con grande abilità e aprono ad una riflessione sul tema della violenza sulla donna.

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NARCISISMO PATOLOGICO E DIPENDENZA AFFETTIVA

Il narcisismo è una delle problematiche psicologiche più diffuse nella nostra epoca; al di là di una generica connotazione che ci riguarda tutti come appartenenti ad una cultura legata all’apparire  bisogna distinguere un vero e proprio disturbo di personalità ed alcuni tratti fortemente patologici che caratterizzano alcune persone.

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Lars e una ragazza tutta sua…ammalarsi e guarire

Lars è un ventisettenne schivo che vive nel garage della sua casa di proprietà, dove si sono sistemati il fratello con la moglie in attesa di un figlio.

L’ambientazione è la provincia americana, puritana e scarna.

Il film risale al 2007 ma essendo una sorta di favola surreale diviene senza tempo e paradigmatica di una vicenda umana che parla di malattia ma anche di possibile guarigione.

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Border- Creature di confine

Border è un film del norvegese Ali Abbasi, già regista del bellissimo Lasciami entrare. La storia raccontata nel film è sorprendente e distopica. Un film che emoziona, a tratti disturba ed anche fa riflettere.

IL FILM

Tina, la protagonista della storia, da sempre si sente diversa dagli altri, ed è vero, lo è, sia per il suo aspetto non propriamente piacevole che per la particolare sensibilità alle emozioni delle persone.

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La paura dei legami: la controdipendenza

Sono in aumento in questo periodo storico le persone che “scelgono” di vivere senza un legame di coppia; vivere o essere soli sentimentalmente è ormai una condizione meno stigmatizzante rispetto al passato.

Alcuni single decidono di rimanere tali non tanto per mancanza di occasioni quanto perché apprezzano la libertà che non avere un rapporto di coppia stabile può dare loro. Trovare la propria soddisfazione anche in una vita da soli può essere positivo ed importante; talvolta anche necessario affinché la persona impari a conoscersi e a comprendere bene cosa vuole. Essere soli, in certi momenti della vita può essere sano, utile e far sentire bene le persone.

Al di là di queste considerazioni sembra essere però in aumento il numero delle persone, giovani e non, che hanno difficoltà ad accettare la dipendenza che stare in una relazione di coppia con un’altra persona può significare. Tali persone sembrano dirsi che amano di più la libertà piuttosto che la costrizioni che un legame comporta.

LA CONTRODPENDENZA

Il termine clinico per definire tale modalità è quello di contro-dipendenza. La controdipendenza ha le sue radici nei legami di attaccamento primari. Chi è contro-dipendente teme moltissimo di legarsi ad un altro poiché ha, in genere, avuto esperienze negative con i legami di attaccamento che ha vissuto in tenera età, generalmente con i genitori.

Tali figure sono state fortemente inadeguate o semplicemente disattente ai bisogno emotivi dei figli, creando nel bambino l’idea che non ci si può fidare e affidare fino in fondo a nessuno. Mamme depresse o fortemente inadeguate possono ad esempio essere eccessivamente richiedenti con i loro figli e riversare su di loro un affetto poco sano e permeato di aggressività. Anche la figura del padre può essere inadeguata, svalutante o incapace di vedere e accettare il figlio o la figlia per quello che sono.

I genitori possono essere stati anche molto adeguati a livello pratico nell’accudimento del bambino ma essere totalmente assenti dal punto di vista emotivo, lasciando nel figlio la convinzione di “essere sbagliato o colpevole” e per questo non amabile. In tutti in questi casi, il bimbo prima e l’adulto poi, sviluppano la convinzione inconscia che avere un legame non sia gratificante ma che significhi assumersi compiti e ruoli che non sono loro consoni, come ad esempio quelli di essere per i genitori delle figure di accudimento.

LA PAURA DELL’ABBANDONO

Queste persone scelgono o preferiscono quindi essere molto autonomi perché instaurare un legame d’amore sembra rappresentare per loro un grande pericolo emotivo; essi temono che dietro un’ apparente normalità ci possa essere  mancanza di attenzione e amore.

Quello che l’individuo contro-dipendente sviluppa è la capacità di essere autonomo, di pensare a se stesso, nella convinzione che la relazione con l’altro possa danneggiarlo o essere causa di abbandono. La paura dell’abbandono è infatti un altro dei temi che caratterizzano queste persone che in età precoce esse hanno subito un abbandono reale o emotivo dalle figure di accudimento.

IL NARCISISMO

Chi attua i meccanismi di difesa evitanti o ambivalenti e teme di dipendere ha tratti narcisisti. Il narcisista è colui che usa l’altro e lo colpevolizza ma al contempo è anche chi teme di amare oichè sente di non meritare l’amore. In termini clinici questo narcisismo è definito covered, cioè coperto, non evidente. Questa tipologia di persone sente nel profondo di non potersi fidare di nessuno e di non potere essere accettato per quello che è.

PAURA D’AMARE

Le persone contro-dipendenti hanno paura d’amare perché questo mette in crisi l’autonomia che si sono a fatica costruite per evitare di soffrire. Dietro alla loro autonomia si nasconde infatti una forte fragilità e sfiducia nei confronti dell’altro.

Quando si troveranno in una situazione in cui hanno di fronte una persona che le ama saranno sopraffatti dall’antica paura di affidare, almeno parzialmente, i propri bisogni emotivi ad un altro. Spesso queste persone sabotano le loro relazioni o scappano quando il rapporto si può fare più profondo ed impegnativo.

Solo recuperando il senso della propria storia e delle proprie paure più profonde può diventare possibile per queste persone accedere ad una relazione d’amore.  Nel legame non c’è solo pericolo ma anche la possibilità di costruire qualcosa di sano e bello insieme ad un’altra persona. Questo non significa affidarsi totalmente all’altro ma permettergli di avvicinarsi senza temere di esserne danneggiati.

Immaginazione e guarigione

COSA E’ L’IMMAGNAZIONE?

L’immaginazione è un’attività della mente che si caratterizza per l’uso della fantasia. Questo sostantivo deriva dal latino e significa letteralmente “creare immagini”. Immaginare significa creare immagini interne e collegarle fra loro fino a creare fantasie o storie che esistono dentro di noi e non nella realtà.

ll pensiero comune sembra relegare l’immaginazione ad una sorta di pensiero con poco valore poiché distante dalla razionalità, dimenticando che l’essere umano non è solo ragione ma anche emotività, fantasia e, soprattutto, in una lettura analitica,  portatore di immagini interne.

Grandi artisti o scienziati hanno potuto creare con la loro immaginazione opere d’arte o nuovi modi di interpretare i fenomeni della realtà. Tale funzione non è però riservata alle grandi menti ma è parte di ognuno di noi. Nel bambino l’immaginazione, ed insieme ad essa il gioco, è la base per la formazione delle strutture psichiche di quello che sarà poi l’individuo adulto. Il gioco simbolico si basa infatti sulla possibilità di immaginare, di fare “come se”, di costruire una realtà anche senza la realtà. Questo è il primo passo per la nascita del pensiero razionale e di un rapporto con il mondo.

IMMAGINAZIONE E AZIONE

Fantasticare permette di uscire dagli angusti schemi della razionalità e permettere alla mente di esplorare nuove prospettive. Banalmente ogni atto ed ogni decisione originano dall’immaginare un evento. Per cambiare qualcosa del proprio mondo interno o di quello esterno immaginare è il primo passo; fare dunque un pensiero nuovo e di conseguenza un’azione nuova. Uscire da un  pensiero meccanico, abituale, permette di lasciare emergere un desiderio, un’immagine nuova dentro di noi e scoprire dove essa ci porta.

IMMAGINAZIONE E DEPRESSIONE

L’immaginazione è una funzione della psiche, forse la più importante, per quello che riguarda la possibilità di guarigione.  Immaginare è una funzione che mette l’individuo in grado di uscire da una lettura strettamente concreta della sua situazione; l’immaginazione apre alla possibilità di creare nuove letture della situazione e nuove strade dentro di sé. Non a caso chi soffre di un disturbo depressivo è completamente bloccato in uno stato emotivo di tristezza ed impotenza, in un pensiero rigido. Non è possibile per chi è depresso immaginare il cambiamento, la vita appare statica così come lo sono le emozioni di tristezza e di apatia.

L’IMMAGNAZIONE e ANALISI

Jung descrive nel Libro rosso, testo uscito postumo solo nel 2008, un viaggio immaginario dentro di sé e dentro le immagini della sua mente. Tale testo, frutto del lavoro di molti anni, permetterà allo psicoanalista svizzero, di uscire da una forte depressione e di dare corpo ad alcune delle intuizioni più fertili della sua psicologia. Dopo di Jung Hillman in epoca contemporanea ha utilizzato il termine di psicologia immaginale o di psicologia archetipica. L’immaginale per lui è il mondo della possibilità e del cambiamento.

L’IMMAGINAZIONE ATTIVA

La terapia junghiana utilizza un tecnica chiamata Immaginazione attiva. Essa è stata teorizzata da Jung come metodo di esplorazione di sé e delle proprie immagini interne. L’immaginazione attiva consiste nel ricercare per l’appunto attivamente uno spazio di eleborazione di fantasie ed immagini. Secondo la teoria junghiana dentro di noi esistono “a prescindere” delle immagini interne, quali possono essere i sogni o le fantasie ad occhi aperti. E’ proprio esplorando tali immagini che si può scoprire parti di sé dimenticate, o non consapevoli, ed attivare così un processo di guarigione.

IMMAGINAZIONE E GUARIGIONE

L’immaginare mette in moto delle possibilità interne e crea ponti con differenti realtà. Esso è un canale di accesso per i desideri e le immagini che giacciono dentro di noi, spesso dimenticate. La depressione può sopraggiungere proprio perché il legame con tali immagini è rimosso e richiede di essere esplorato.

Coltivare la propria immaginazione diviene quindi un atto fortemente terapeutico che può aprire a nuovi modi di essere e a nuove consapevolezze. Immaginazione e creatività sono un binomio fondamentale per tornare a stare bene. Per questo spesso in terapia si utilizzano le immagini oniriche, le fantasie o il disegno per lavorare insieme al paziente. Immaginare di poter tornare “a stare bene” è il primo passo perchè ciò avvenga; in genere questo richiede dei cambiamenti sia interni che esterni alla persona che si devono poter immaginare prima che essi si realizzino nella realtà.

Il viaggio infero: incontrare l’Ombra

CHE COSA E’ L’OMBRA?

Con il concetto di Ombra Jung definisce quella parte dell’individuo che non è consapevole e che racchiude in sé aspetti di noi sia negativi che positivi ignorati.  Dapprima Jung fa coincidere l’Ombra con l’inconscio personale poi nel corso della sua opera ne amplia il significato e l’ombra diviene uno degli archetipi fondanti il percorso di individuazione. L’archetipo dell’Ombra è uno dei primi con cui ci si deve confrontare all’interno di un percorso di crescita e trasformazione. Jung chiama questo percorso Individuazione.

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L’ombra del padre e l’autostima della donna

 

L’autostima della donna si costruise in relazione al padre; essa in età adulta si confronta con un’idea di sé e del proprio agire nel mondo non solo come madre e compagna di un uomo ma anche come una persona capace di perseguire una professione o un progetto. Per fare fronte a quest’esperienza essa deve fare appello alla propria energia interna maschile e non solo a quella femminile. Entra in questo caso in campo l’energia rappresentata dal suo Animus e dal rapporto con il padre.

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